Associazione Nazionale
degli Enti di Governo
d’Ambito per l’Idrico e i Rifiuti

Newsletter 1/2011

I servizi idrici tra decreti, sentenze e referendum: a che punto siamo?
In questi giorni viviamo in un clima di attesa per il futuro dei servizi idrici in Italia; come noto, è in discussione l’intero assetto organizzativo che, a partire dal 2012, potrebbe mutare sensibilmente il quadro istituzionale e gestionale entro cui operiamo. In virtù dell’art. 23bis del Decreto Ronchi, entro quest’anno dovremmo dare avvio ad uno dei processi di liberalizzazione più ampi della storia del nostro paese, organizzando più di 60 gare in pochi mesi. Tale scadenza potrebbe slittare di un anno, o almeno sino al completamento della piccola rivoluzione che sta avvenendo nelle Regioni, dopo che l’emendamento Calderoli ha previsto la soppressione delle Autorità d’Ambito (AATO). Lo spostamento a marzo della scadenza del 31/12 scorso per la soppressione delle AATO è stato accolto con circospezione, è necessario che il Governo posticipi almeno sino a dicembre. Anche se alcune Regioni erano già contrarie alla proroga delle AATO e lo hanno riaffermato varando nei termini inizialmente stabiliti dei provvedimenti o dei progetti di legge che in parte modificano la distribuzione dei poteri tra enti locali, a vantaggio delle Province. Sebbene i Comuni saranno comunque chiamati ad esprimersi con pareri obbligatori e vincolanti su questioni chiave. In altre Regioni è stato confermato il modello delle AATO, passando attraverso la necessaria fase del commissariamento, per consentire il trapasso delle funzioni e l’obbligatorio restyling di facciata. Ma nella maggior parte dei casi non si è ancora provveduto. E a livello nazionale, le promesse della fine dell’anno scorso di lavorare alla creazione di un’authority indipendente si sono diluite nelle agende politiche di questi primi mesi del 2011.
Nel percorso legislativo che stiamo percorrendo, incoerente nei fondamenti come nei tempi previsti per l’attuazione dei vari provvedimenti, ogni tanto si sussulta per l’intervento della Corte Costituzionale, l’ultimo dei quali (su cui trovate nel seguito della newsletter i commenti emersi al seminario ANEA del 4 febbraio), ha chiarito che lo Stato italiano con il 23bis ha sì ristretto la cogenza della normativa comunitaria, in direzione di una maggiore concorrenza, ma tale scelta non solo è legittima ma è anche insindacabile da parte delle Regioni e degli Enti locali. In definitiva, il servizio idrico ha una rilevanza economica “oggettiva” e come tale ricade nella disciplina della concorrenza, di competenza esclusiva dello Stato. Restano i problemi applicativi della legge stessa e del suo regolamento attuativo. Ma a questo punto, prima di fare alcunché è meglio aspettare che i cittadini abbiano espresso l’ultima parola, chiamati dai referendum ammessi dalla Consulta a decidere se sopprimere o meno il 23bis. Senza dimenticare le disposizioni dell’art. 154 del testo unico ambientale, laddove prevedono il riconoscimento in tariffa di un’adeguata remunerazione del capitale investito: l’intento è di privare de facto il servizio di appetibilità economica per gli investitori privati, ma anche per le Spa pubbliche, riproponendo la gestione da parte di aziende pubbliche speciali, semmai consorzi di dimensione sovra-comunale, con prevalente finanziamento degli investimenti dalla fiscalità generale e un controllo diretto dei cittadini attraverso meccanismi di partecipazione democratica “rafforzata”, senza vigilanza locale da parte di enti terzi, senza regolazione e controllo: i Sindaci saranno direttamente responsabili verso i loro elettori.
Forse, alla luce dei ritardi strutturali che pesano in molte realtà sulla qualità dei servizi idrici, era inevitabile lo scontro tra due modelli così diametralmente opposti di organizzazione del settore. E’ grave però che si sia dovuti arrivare a proporre di scardinare completamente la riforma del ’94, senza riflettere sui possibili correttivi da apportare per rafforzare la coerenza dell’impianto originario. Difficile pronosticare quale delle due linee di pensiero prevarrà, se quella del Governo favorevole ad una maggiore liberalizzazione o quella dei referendari favorevole ad una completa ripubblicizzazione. Speriamo che da tale tensione prevalga un compromesso “virtuoso” e non pastrocchio a svantaggio dei cittadini.
Vanno però sottolineati alcuni aspetti cruciali di entrambi i modelli. Da un lato, è rischioso liberalizzare il mercato senza aver prima creato un quadro regolatorio stabile. All’estero hanno imparato bene questa lezione. In Italia, l’aveva capito il legislatore quando ha aperto la strada alle prime dismissioni delle partecipazioni statali nei grandi servizi a rete (elettricità, gas, telecomunicazioni), condizionandone l’avvio alla creazione delle principali autorità di settore. A quel tempo, l’impulso veniva dal diritto comunitario, che obbligava gli Stati membri a procedere in sequenza dapprima alla creazione di autorità indipendenti di regolazione e poi alla liberalizzazione dei mercati. Oggi, per il settore idrico l’impulso alla liberalizzazione viene dal nostro Governo e non dalla Comunità europea. Ma ci si dimentica l’importanza della regolazione di un servizio a rete, servizio che più di altri è essenziale per i cittadini. Operatori, istituzioni, studiosi, sono tutti concordi: non vi è dubbio che fino ad oggi la debolezza della regolazione del servizio idrico in Italia abbia contribuito a rallentare l’attuazione della riforma Galli e ad alimentare delle percezioni distorte circa il funzionamento delle gestioni in house e l’operato delle stesse AATO.
Dall’altro lato, il modello delle aziende speciali e consortili ha anch’esso luci ed ombre e si è dimostrato funzionante solo laddove la società civile è coesa e il meccanismo di controllo democratico funziona davvero. In tanti altri casi, è stato un modo per distribuire sui cittadini il costo delle rendite derivanti da sprechi e inefficienze, scaricati sulla tassazione generale e nascosti nelle maglie dei bilanci pubblici. Perché, quindi, il modello delle aziende speciali potrebbe funzionare oggi, in maniera generalizzata, a poco più di 15 anni dalla riforma Galli, se nel frattempo non è cambiata la distribuzione dei poteri degli Enti locali, la capacità impositiva dei Comuni, la cultura politica locale, la coesione della comunità locale?
Ciò che manca nel dibattito di questi giorni è l’analisi critica di quanto avvenuto in quest’ultimo decennio e una proposta seria per affrontare i veri nodi del settore idrico in Italia, al di là degli slogan, al di là dei problemi locali con il singolo gestore o il singolo amministratore. Per quale motivo, nel settore idrico in Italia, le pianificazioni risultano carenti, il tasso di realizzazione degli investimenti è più basso di quanto atteso, le informazioni sulle gestioni mancano, il rapporto con gli utenti è a volte conflittuale? Come noto, le AATO soffrono del conflitto di interessi che nasce dalla commistione dei ruoli dei Comuni e in molti casi sono strutturalmente incapaci di far fronte alle resistenze dei gestori e alle pressioni della politica. D’altro canto, il Coviri, oggi Commissione, è una struttura con poteri limitati e sempre più interna al Ministero dell’ambiente, per cui non è indipendente. Il suo operato è stato caratterizzato da forte discontinuità. Di fronte a questa situazione critica, quali sono le soluzioni proposte dalla politica e dall’opinione pubblica? Per gli uni, occorre avviare subito la liberalizzazione, smantellare tutto il sistema di regolazione vigente, creare le condizioni perché il quadro istituzionale si delinei a livello locale in totale autonomia, o forse è meglio dire anarchia. Per gli altri, occorre tornare al “primato della politica”, alla diretta influenza dei rappresentanti eletti in merito alle scelte che riguardano il benessere dei cittadini.
Ebbene, entrambe queste soluzioni ci appaiono a dir poco semplicistiche. Manca la preoccupazione di fondo in merito a chi possa svolgere al meglio le varie funzioni: la gestione, l’indirizzo strategico e la regolazione. Così come accade per tutta la politica di settore, è mancata e manca una visione di lungo termine. Vi è poca chiarezza sul funzionamento dell’attuale modello e sui possibili correttivi che occorrerebbe introdurre, per superarne i limiti e valorizzarne gli aspetti positivi.
In base a quali linee direttrici, quindi, andrebbe disegnata una riforma oculata dei servizi idrici? A nostro avviso, occorre valorizzare la dimensione locale della regolazione e rafforzare quella nazionale, attenendosi a una serie di princìpi di un buon disegno istituzionale, pochi ma irrinunciabili: 1) specializzazione, autonomia e indipendenza delle entità di regolazione locale; 2) coinvolgimento dei Comuni nelle fasi di definizione degli obiettivi di servizio, degli investimenti, dell’articolazione tariffaria e della forma di gestione e affidamento; 3) ruolo di garante della Regione nei confronti dei possibili conflitti di interessi; 4) regolazione nazionale indipendente di settore con funzioni complementari a quelle dei regolatori locali.
In conclusione, occorre affrontare contemporaneamente il tema della liberalizzazione e quello dell’assetto istituzionale della regolazione. Occorre partire dalla necessità che nel servizio operino imprese che rispondono a logiche commerciali, non politiche. Non si tratta di consegnare l’acqua ai privati ma di assicurare i giusti incentivi alla gestione industriale ed efficiente del servizio. Né si corre il rischio di “mercificare” il bene acqua, perché all’utente è richiesto solo di pagare il giusto corrispettivo per un servizio reso, seppur con le opportune distinzioni in base al reddito. E soprattutto, serve una ripartizione chiara delle competenze tra i vari livelli amministrativi, basata sui fatti e le necessità e non sul negoziato politico. Noi come Associazione non ci stancheremo mai di ripetere che c’è una domanda inevasa di regolazione, che occorre provvedere al più presto e in maniera razionale ed efficace, che vanno affrontati i veri nodi critici della regolazione, senza nascondersi dietro ideologie e false chimere.


Il seminario sulla sentenza 325/2010 della Corte Costituzionale: un breve resoconto
Si è svolto il 4 febbraio il seminario organizzato dall’ANEA per approfondire con gli associati i contenuti e le ripercussioni della sentenza 325/2010 della Corte Costituzionale. Il primo intervento del Prof. Sorrentino, ordinario di diritto costituzionale alla Sapienza di Roma, ha affrontato i tre temi su cui si articola la sentenza: la nozione di concorrenza, la nozione di servizio di interesse economico e il riparto di competenze tra Stato e Regioni. La tutela della concorrenza è una funzione attribuita alla competenza esclusiva dello Stato e in base a ciò la Corte ha affermato i pieni poteri del Governo ad intervenire sulla materia degli affidamenti. E’ stato chiarito dalla Corte che la scelta di restringere, con il 23-bis, la cogenza della disciplina europea sulla concorrenza è legittima ed è inappellabile da parte delle Regioni, che non hanno pertanto competenze in materia di affidamento. Inoltre, la sentenza 325/2010 nega che l’organizzazione del sii sia una funzione fondamentale dei Comuni, smentendo in parte alcune pronunce precedenti della stessa Corte in cui veniva affermato il contrario. Quanto alla rilevanza economica, per la Corte il sii possiede tale natura in maniera “oggettiva”, in riferimento cioè ai suoi specifici connotati economico-organizzativi.
L’Avv. Farnetani ha approfondito i suddetti temi, analizzato la sentenza 325/2010 dal punto di vista del diritto amministrativo, soffermandosi sul riparto di competenze in tema di affidamento e analizzando le possibili ripercussioni del referendum abrogativo del 23-bis. La Corte ha negato la riviviscenza di norme abrogate dal 23-bis, affermando la diretta applicabilità della disciplina comunitaria in caso di sua abrogazione. Il che comporterebbe la legittimazione di tutte le forme possibili di affidamento, senza restrizioni di assetto proprietario. Fa eccezione la gestione diretta in economia, che rimarrebbe esclusa dal vigente ordinamento. Infine, la sentenza ha qualificato come ragionevoli i termini stabiliti al comma 8 del 23-bis, circa la cessazione anticipata degli affidamenti in house. La relazione dell’Avv. Farnetani è disponibile su richiesta per gli associati ANEA.


Convegno sulle forme di impresa nel servizio idrico, Firenze 10 marzo 2011
Si terrà il 10 Marzo a Firenze, al Palazzo dei Congressi, il convegno organizzato dall’ANEA dal titolo “La gestione dei servizi idrici e le forme d’impresa: teorie ed esperienze a confronto. Pubbliche, private, miste, cooperative: quale modello per le società di gestione dei servizi idrici?”.
Il convegno prende le mosse dall’attuale fase di profondo mutamento del quadro organizzativo del servizio idrico integrato. Dalla Legge Galli del ’94 fino ad oggi, la forma d’impresa predominante è stata quella pubblica con affidamento diretto in house. Per contro, i provvedimenti legislativi e regolamentari degli ultimi due anni stanno imprimendo un impulso per una maggiore concorrenza e diffusione di forme d’impresa privata e mista pubblico-privata, prevedendo l’obbligo del ricorso alla gara. Avverso a tali provvedimenti, i sostenitori dei referendum recentemente ammessi dalla Corte Costituzionale propugnano il diritto dei cittadini ad un maggiore controllo sulle gestioni.
Il convegno mira a facilitare un confronto tra le varie proposte in campo, portando alla luce gli elementi teorici e le esperienze concrete in Italia e all’estero, relative alle diverse forme di impresa di gestione. Saranno esplorati gli elementi di forza e di debolezza di ciascuna ipotesi, prendendo a riferimento le due forme tradizionali della società pubblica e della società privata, confrontandole con la forma mista, la cooperativa, la non profit. La tavola rotonda sarà finalizzata a chiarire i principali orientamenti politici e il punto di vista dell’associazionismo e del mondo della cooperazione.

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