Acqua: ne parliamo con Luciano Baggiani, presidente ANEA – Associazione nazionale autorità ed enti di ambito, che rappresenta circa sessanta ambiti territoriali ottimali, i comuni convenzionati o consorziati tra loro che fanno i contratti con i gestori del servizio su cui esercitano un’attività di controllo, la maggior parte di quelli tracciati sul territorio dalla legge Galli. 1) Nella rivoluzione normativa in atto nel settore, come valuta il ritiro dell’emendamento al ddl Bersani 3 sulle liberalizzazioni che introduceva una moratoria all’affidamento ai privati dei servizi idrici locali ?
«Si tratta di una decisione che ritengo giusta e opportuna. A parte alcune curiosità contenute nel testo come la verifica che le procedure di affidamento abbiano rispettato l’equilibrio biologico, l’emendamento considera l’introduzione della concorrenza nell’affidamento del servizio idrico come una minaccia per gli utenti, mentre in realtà è lo strumento principale, insieme alla regolazione, per garantire lo stesso utente dalle prepotenze del monopolio».
2) Secondo lei è pace fatta nella maggioranza dopo il raggiunto accordo con Rifondazione sul ddl Lanzillotta di riordino dei servizi pubblici locali in nome delle “aziende speciali” che si affiancano all’affidamento esterno attraverso gara o alla gestione in proprio?
«La reintroduzione dell’azienda speciale può essere letta in due modi diversi e fra loro opposti. Se il comune decide di gestire direttamente i servizi attraverso un’azienda speciale, probabilmente si ritornerà ad un sistema che prevedeva una netta separazione fra ruolo politico e responsabilità gestionale nella direzione di queste imprese, con i benefici che ne discendono. D’altro canto, il ritorno all’azienda speciale in qualche modo limiterà la capacità a queste imprese di operare come le aziende normali, con tutte le limitazioni operative che questo comporta».
2) Non sarà che lo scontro sul settore in atto nella maggioranza riflette il clima di piazza con manifestazioni spontanee di cittadini e comitati organizzati in lotta contro le tariffe dei gestori che vogliono la “ripubblicizzazione dell’acqua” ?
«Il clima della piazza non sempre aiuta a comprendere i termini del “problema”. Segnala un disagio, ma non necessariamente trova una soluzione immediata e adeguata. Il caso della ripubblicizzazione dell’acqua è esemplare. Intanto occorre distinguere, per evitare di fare un inutile e dannosa confusione, fra gestione della risorsa idrica e gestione dei servizi. In Italia, la risorsa idrica è di proprietà pubblica e la sua gestione è affidata ad istituzioni pubbliche (Province e Autorità di bacino). Altra cosa sono la gestione dei servizi di acquedotto, fognatura e depurazione che, indipendentemente dalla forma di gestione prescelta dai comuni, devono assicurare in modo efficiente, equo e remunerativo l’erogazione di un servizio pubblico. Ho aggiunto remunerativo perchè, pubblica o privata che sia la gestione, per raggiungere un adeguato livello dei servizi è necessario finanziare un vasto programma di investimenti».
3) Siamo abituati a pensare all’acqua come bene disponibile, abbondante e in quanto tale a costi contenuti, ma le rivolte contro le tariffe che stanno montando dall’Umbria alla Sicilia, i pozzi abusivi e quelli che chiudono, ci dicono che non è più così.
«L’acqua è un bene naturale, e la quantità disponibile in Italia è complessivamente molto al di sopra dei nostri fabbisogni. Tuttavia è caratterizzata da una elevata variabilità nel tempo (stagioni) e nello spazio (territorio). Per questo, da sempre, si è reso necessario costruire infrastrutture per raccogliere, conservare e distribuire la risorsa nel tempo e nello spazio. Nel tempo si è aggiunta anche la necessità di depurare le acque che una volta utilizzate vengono restituite alla natura. Tutto questo richiede la realizzazione il mantenimento di un vasto sistema di infrastrutture che, come tutte le altre infrastrutture, richiedono risorse economiche sotto forma di tariffe che gli utenti sono chiamati a pagare in misura del loro consumo».
5) Dalla legge Galli che ha introdotto il concetto di servizio idrico integrato sono passati dieci anni, che bilancio fa di questo periodo?
«Si è trattato di un vasto processo di riorganizzazione, che sta portando al superamento di più di 8000 gestioni, verso un nuovo assetto industriale composto da poco più di un centinaio di grande e medie imprese. Nel contempo si sono separate le responsabilità del controllo da quelle della gestione, affidando ai comuni raccolti negli ATO il compito di controllare e regolare il servizio. In questo contesto, mentre sarebbe necessario continuare a rafforzare la regolazione pubblica locale assicurata dagli ATO, si fa sempre più sentire l’assenza di un regolatore nazionale indipendente di settore, che con la sua presenza integrerebbe la regolazione locale in particolare sulla tariffa, la comparazione delle prestazioni dei gestori e la misura della qualità dei servizi».
6) Modalità di gestione e di utilizzo dell’acqua, carenze di infrastrutture e perdite ingenti sulla rete: gli ATO che la sua associazione rappresenta, come operano materialmente? Alla luce dell’attuale assetto normativo, cosa decidono e soprattutto cosa controllano ?
«Gli ATO sono organismi composti e nominati dai comuni. Il loro compito è quello di definire, sulla base dei livelli di servizio che si devono raggiungere, la pianificazione degli investimenti e la tariffa necessari a finanziare la gestione e la realizzazione di questi investimenti. Gli stessi ATO controllano, annualmente, la realizzazione degli investrimenti, il rispetto dei livelli di servizio all’utente e la corretta applicazione della tariffa. Ogni tre anni, sulla base del controlli svolti, provvedono ad aggiornare il programma degli investimenti e la tariffa sulla base dei risultati raggiunti da gestore, e a sanzionarlo, nel caso non abbia rispettato le obbligazioni definite dal contratto. In questo modo assicurano, attraverso la regolazione, il miglioramento della qualità dei servizi e la tutela dell’utente».
7) Secondo lei di quanto avrebbe bisogno il paese per costruire nuove reti e potenziare gli impianti esistenti?
«Secondo l’analisi fatta prima dal Coviri, nei suoi rapporti e poi dall’ANEA nel BlueBook, una prima stima degli investimenti prevista dai Piani di Ambio, indica in circa 50 miliardi di euro il fabbisogno per i prossimi 20 anni. Si tratta tuttavia di una stima, e come tale va valutata. Si tratta di un ammontare di investimenti non indifferente che non presenta particolari problemi di sostenibilità sulla spesa media annuale delle famiglie, se non per quelle al di sotto della soglia di povertà. Per questo è necessario che si intervenga con strumenti di sussidio per alleviarne i disagi. Probabilmente sarà necessario che il governo inizi a trattare queste infrastrutture come componenti essenziali, al pari di quelle di trasporto, dello sviluppo economico del paese, e di conseguenza trovare finanziamenti che ne favoriscano la realizzazione».