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Le agenzie di regolazione non sono tribunali; i regolatori non sono giudici

Le agenzie di regolazione non sono tribunali; i regolatori non sono giudici

di Scott Hempling, Direttore NRRI

www.nrri.org

I neofiti della regolazione non sono i neofiti al governo. Capiscono cosa sono il potere esecutivo, legislativo e giudiziario ma si domandano cosa implichi esattamente. La tendenza è di emulare ciò che è familiare. I giudici siedono al banco, in ascolto del dibattito tra le parti, usano i processi accusatori, trovano i fatti, poi applicano la legge a quei fatti. Sembra abbastanza diretto; siamo giudici.
Vedere l’agenzia di regolazione come un tribunale – per “presiedere” piuttosto che guidare – mette a repentaglio l’efficacia della regolazione.
In cosa le agenzie di regolazione differiscono dai tribunali?
Lo scopo di un’agenzia di regolazione deriva dalla sua origine. Il potere legislativo riceve il potere di fare leggi dalla costituzione del singolo stato. Il potere legislativo poi crea un’agenzia, a cui delega alcune porzioni essenziali del proprio potere di fare leggi. Tale delega consiste in comandi associati a standard; ad esempio, stabilire tariffe giuste e ragionevoli, assicurare un servizio affidabile, consentire fusioni se in accordo con l’interesse pubblico. Comune a questi comandi e standard c’è un solo scopo legislativo: entro un ben definito spazio, fare una politica per il pubblico.
I tribunali e le agenzie di regolazione hanno degli elementi in comune. In entrambi i casi si prendono decisioni che obbligano le parti. Si basano le decisioni su una chiara documentazione prodotta attraverso l’analisi del processo accusatorio. Si esercitano poteri legati a ciò che è stato stabilito dalle leggi. Ma i tribunali non cercano problemi da risolvere; essi aspettano le denunce delle parti. Al contrario, il mandato dell’interesse pubblico proprio di un’agenzia di regolazione significa che essa letteralmente va alla ricerca dei problemi. I tribunali sono confinati alle violazioni della legge, ma le agenzie di regolazione sono costrette a promuovere il benessere pubblico. Anche le più limitate decisioni di un’agenzia – approvare o non approvare un particolare contratto tra un gestore ed un cliente – hanno effetti sull’interesse pubblico più ampi che sulle singole parti. Un basso prezzo sposterà i costi su altri utenti oppure indebolirà le finanze del gestore? I concorrenti del fortunato compratore cercheranno un trattamento analogo? Con quale effetto?
Le decisioni dei tribunali possono assumere il carattere di creazione di una politica. Una class action intentata sulla base dei diritti civili o delle leggi sulla sicurezza, una causa antitrust, possono creare politiche che durano una generazione. Ma si consideri la differenza: nei tribunali, il potere di azione dei giudici è limitato a ciò che le parti richiedono. Nelle agenzie, la denuncia è uno stimolo non è una limitazione. Le agenzie possono aggiungere altre questioni, combinarle con altri casi, invitare o richiedere la presenza di altre parti, convertire una causa tra due parti in una a più parti, così come richiede l’interesse pubblico.
E’ vero che l’agenzia sembra racchiudere tutti e tre i poteri di governo: come il potere legislativo quando emana regolamenti; come il potere esecutivo quando applica questi regolamenti; come un tribunale quando decide in merito ai reclami. Ma le agenzie di regolazione delle utility non sono “come” qualcosa; esse sono ciò che sono: unità di governo create per esercitare un potere delegatogli dal potere legislativo. L’agenzia, come il potere legislativo di cui esercita il potere, fa politiche per il pubblico.
Nota: in alcuni casi, l’agenzia è creata dalla costituzione, non dal potere legislativo. Ma esercita comunque un potere definito dal potere legislativo.
In che modo “l’agire come un giudice” mina l’efficacia del regolatore?
Un regolatore che agisce come un giudice suppone che le parti, i loro interessi, le loro argomentazioni e le loro citazioni legali comprendano l’intero scibile umano che richiede l’attenzione regolatoria. Tale assunzione si basa su una o più premesse non corrette:

  1. L’insieme degli interessi privati presenti nel procedimento mostrerà alcuni schemi dai quali la Commissione potrà determinare l’interesse pubblico
  2. Che l’interesse pubblico sia sinonimo di soddisfazione di interessi privati
  3. Che l’evidente sottomissione degli interessi privati produrranno un’informazione sufficiente per rilevanza ed obiettività per distinguere l’interesse pubblico
  4. Che l’opportunità di accesso equivalga alla realtà di accesso; cioè, che tutti i possibili interessi privati abbiano avuto la possibilità di adire al procedimento
  5. Che la forza e la passione dell’opposizione dell’interesse privato faccia emergere la “verità”

Accettare una qualsiasi di queste premesse mina l’efficacia della regolazione, cioè:

  1. Induce alla passività intellettuale, perché i processi e la documentazione diventano parti-centrici piuttosto che pubblico-centrici (“cosa cercano le parti?” invece di “come faccio progredire l’interesse pubblico?”)
  2. Impone un orizzonte temporale errato (i desideri a breve termine delle parti piuttosto che le necessità a lungo termine del pubblico)
  3. Priva il regolatore dell’obiettività (perché il regolatore “impara” dai ragionamenti delle parti piuttosto che da fonti imparziali)
  4. Distorce la gestione personale del tempo del regolatore, perché le parti possono sovraccaricare la documentazione con conversazioni tra di loro – testimonianze, esami incrociati e resoconti scambianti in quattro vie (azione, replica, domanda e contro domanda) – e la legge procedurale costringe il relatore ad esaminare ogni singola pagina, lasciando tempo e spazio mentale insufficiente a leggere e a pensare per proprio conto
  5. Sostituisce l’accordo privato alle soluzioni dell’interesse pubblico (la regolazione, differentemente da una separazione coniugale o da un tamponamento, ha bisogno della formulazione di politiche, non della risoluzione di una disputa

Perché alcuni regolatori preferiscono lo stile della magistratura?
Facilità di spiegazione: nella procedura regolatoria, l’aggiudicazione occupa un ruolo centrale. Si applica alle “grandi questioni” – aumento delle tariffe, fusioni, reclami. La sua formalità incute rispetto. La familiarità del procedimento ne definisce la tipologia: poiché usiamo tecniche giudiziarie, siamo organi “semi-giurisdizionali”. Tale prefisso è l’errore. Non esiste il “quasi” nel fare politiche per il pubblico. L’aggiudicazione è un mezzo procedimentale per discernere e dichiarare qual è l’interesse pubblico. La procedura non dovrebbe determinare lo scopo.
Inesperienza: la maggior parte dei nuovi regolatori sono generalisti. Per far fronte alla complessità della regolazione, il generalista preferisce esaminare i ragionamenti dei più esperti piuttosto che crearsi un proprio approccio.
Eccesso di lavoro: se qualcuno è invaso dalle carte, è più semplice presiedere che guidare.
Avversione al rischio: agire come un giudice comporta meno rischio, comporta meno responsabilità. La politica punisce gli errori di omissione meno degli errori di commissione.
Raccomandazioni per i regolatori

  1. Organizzare ogni procedimento domandandosi: “come faccio progredire l’interesse pubblico?” e non “le parti cosa vogliono che decidiamo?”
  2. Iniziare ciascun procedimento con discussioni neutrali, presentate o esaminate da esperti obiettivi
  3. Nelle aree di maggior interesse politico come gli standard di prestazione, fusioni e tariffe, creare delle regole sostanziali prima che si verifichi la necessità di esaminare un caso, così che le proposte delle parti si inseriscano nelle priorità dell’agenzia e non accada invece il contrario.
  4. Approvare accordi solo se sono a favore dell’interesse pubblico e non perché “comprano la pace” tra le parti.